Memorie di Garibaldi: L'Aspromonte

Garibaldi ferito sull'Aspromonte
Finalmente, dopo marce disastrose lungo sentieri impraticabili, l'alba del 29 agosto 1862 ci vide sull'altipiano dell'Aspromonte, stanchi e affamati.
A est, ad alcune migliaia di sistanza, verso le tre del pomeriggio avvistammo la testa della colonna Pallavicini, incaricata di attaccarci: giudicando troppo debole la posizione dove avevamo riposato, allo scoperto e facilmente accerchiabile, ordinai di spostare il campo in montagna; arrivammo al limite della bellissima foresta di pini che corona l'Aspromonte e ci accampammo dandole le spalle, con di fronte i nostri avversari.
Arrivato a tiro, il corpo Pallavicini formò le sue linee, avanzò risolutamente verso di noi e cominciò  col solito fuoco avanazato, sistema adottato anche dai borbonici e che ho già descritto come inadeguato.
Noi non rispondemmo. Che terribile momento per me! Ero disfronte al dilemma se deporre le armi, vigliaccamente, o se sporcarmi le mani di sangue fraterno!
Un simile scrupolo non lo ebbero i soldati della monarchia, o meglio, i comandanti di quei soldati:
che contassero sul mio onore per la guerra civile?
Probabile, e infatti marciavano su di noi con una tranquillità che lo lasciva supporre.
Ordinai di non fare fuoco e fui obbedito, tranne che da un gruppetto di giovani ardenti alla nostra destra, comandati da Menotti, che vedendosi caricati sfacciatamente, caricarono a loro volta e respinsero gli avversari.
La nostra posizione, in alto, con le spalle alle spalle al bosco, era di quelle da poter tenere in dieci contro cento, ma a cosa serviva, se non ci difendevamo gli attaccanti ci avrebbero raggiunto in fretta. E siccome quasi sempre succede che gli assalitori sono tanto più  sicuri di sè quanto minore è la resistenza dell'avversario, i bersaglieri che ci coprivano infittavano maledettamente i loro tiri, ed io, che mi trovavo fra le due linee per evitare la strage, ebbi in regalo due palle di carabina, una all'anca sinistra e l'altra sul piede destro.

Conteporeaneamente fu ferito anche Menotti.
Avendo ordine di non sparare, quasi tutta la nostra gente si ritirò nella foresta, e rimasero con me tutti i miei prodi ufficiali, fra i quali tre ottimi chirurghi, Ripari, Basile ed Albanese, alle cui cure premurose devo certamente la mia vita.

Sostieni museo #MeTe